-Sa dottore..quando torno a casa spengo il cervello, mangio un dolce e mi sento meglio..per un po'. Poco dopo subentra il senso di colpa.
-E' successo che in passato, magari nella sua infanzia, mettesse in pratica questa strategia e si sentisse meglio?
-Quando ero piccola ero un po' sovrappeso e i miei compagni di scuola mi prendevano in giro. A quel punto mangiavo un dolcetto e mi sentivo meglio. Lo facevo tutte le volte.
Anna ha difficoltà a gestire una situazione che le provoca dolore. Mangiare un dolce stimola le endorfine e questo procura felicità. Di fronte ai dispetti del compagno da piccola, e davanti alle difficoltà che vive oggi da donna adulta, Anna mette in atto questa modalità di lenire il dolore. La strategia utilizzata sin dall'infanzia è la più funzionale possibile in un contesto nel quale le emozioni non possono essere affrontate in altro modo (non possono essere espresse, non se ne può parlare). Mangiare un dolce, così come altre forme di comportamento autoconsolatorie, costituiscono una distrazione rispetto alla propria esperienza emotiva, vissuta come indicibile o inaffrontabile. È una strategia che funziona per un po' di tempo, ma che oggi è diventata sintomatica. E' come un coinquilino che non se ne vuole andare. La conosce, sa come aiutarla e nei momenti di vulnerabilità tende la mano. Ciò che una volta poteva essere l'unico amico, ora è un nemico.
Quello che sperimentiamo nell'infanzia, ha conseguenze nella nostra vita adulta, così come già spiegava Bowlby (1969, Attaccamento e Perdita. L'attaccamento alla madre). Una strategia funzionale si tramuta in un'abitudine che perde di efficienza e che può diventare un sintomo, e quindi un'espressione di malessere.
Per Anna, il mangiare il dolcetto quando tornava a casa era una modalità di gestione del dolore che ormai aveva fatto sua in seguito alle sue esperienze infantili, che tuttavia, non riusciva a risolvere. Nel momento in cui il sintomo ha ottenuto un significato nella sua storia di vita, il comportamento alimentare è svanito e lei è riuscita a mandare via il coinquilino scomodo.
Conoscere la propria storia e noi stessi, consente di dare un significato ai nostri comportamenti e al nostro sentire, così da poter comprendere che quello che ci riguarda ha un preciso significato.
Citando Guidano possiamo affermare che "l'individuo che interagisce con il mondo (esterno ed interno) applica una propria coerenza di significato che si è strutturata ed organizzata per tutto il suo arco di vita" (Guidano, 1987).
Articolo scritto dal Dottor Manuel Nicolè
per il Progetto "Psicologi e Mass Media"
pubblicato sul quotidiano Alto Adige il 05.08.2017