Vi è mai capitato di camminare per strada ed osservare la gente che vi passa accanto? E magari in pochi secondi e da soli pochi indizi, come un abbigliamento evidente, qualche particolare o il colore della pelle, di "catalogarle" come appartenenti ad un determinato gruppo di persone? Spesso, infatti, accade che partendo solamente dall'aspetto e da qualche segno caratteristico di chi ci sta di fronte, inferiamo una serie di informazioni che di fatto non abbiamo. Possiamo perfino arrivare a pensare con una certa sicurezza che essi posseggano determinate caratteristiche, sentimenti o personalità.
In realtà ciò che ho appena descritto non è affatto inusuale: tutti noi esseri umani abbiamo il bisogno psicofisiologico di classificare i numerosi e complessi stimoli che percepiamo dal mondo esterno, in modo da ridurre il dispendio di energia mentale ed essere efficienti. Si semplifica quindi la realtà eliminando le informazioni irrilevanti e si analizza il resto degli elementi enfatizzandone le similitudini e le differenze. Per attuare questa distinzione vengono quindi prese in considerazione solo le caratteristiche rilevanti che hanno colpito la nostra attenzione e ci si basa molto sulle esperienze passate. In altre parole, dopo aver "catalogato" la persona, si è semplicemente attivato nella nostra mente uno stereotipo, ovvero una struttura che racchiude in sé le "conoscenze", più o meno fondate, collegate al gruppo nel quale abbiamo inserito mentalmente tale individuo. A questo punto, le persone che condividono caratteristiche socialmente significative vengono identificate come membri di uno stesso gruppo e non più percepite nella loro individualità. Benché infatti questa sorta di classificazione sociale sia naturale e spontanea, può contribuire alla creazione di gruppi "interni" (quelli a cui apparteniamo) che ci appaiono complessi e ricchi di individui dai caratteri, particolarità e gusti differenti e di quelli "esterni", che invece ci appaiono omogenei ed uniformi, con individui molto più simili tra loro di quanto non lo siano effettivamente.
Tali dinamiche, insieme alle influenze culturali ed emotive, portano alla formazione dei pregiudizi, i quali possono, invece, essere potenzialmente pericolosi e causare anche gravi conseguenze interpersonali e sociali. Nel mondo d'oggi come ormai da secoli, i pregiudizi hanno portato a diversi effetti negativi di diversa intensità: dalla diffamazione, alla discriminazione e in casi estremi allo sterminio. Benché i tempi cambino rapidamente e si facciano importanti passi in avanti nelle tecnologie come nelle scienze, sembra che il pregiudizio, le sue origini e i suoi effetti, rimangano invece costanti negli anni.
Tutti noi, dunque, attiviamo queste categorizzazioni sociali in maniera automatica, ma è importante ricordare che le emozioni, la motivazione, la disponibilità di tempo e le risorse cognitive giocano un ruolo fondamentale sull'elaborazione dello stimolo e quindi sull'attivazione esplicita dello stereotipo e del pregiudizio.
Articolo scritto dalla Dottoressa Valeria Adami
per il "Progetto Mass Media"
pubblicato il 21.07.2018
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